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Todorov: la fiaba come origine dell’orrore fantastico

Aggiornamento: 6 mar 2022

Il discorso letterario non può essere vero o falso, può soltanto essere valido nelle sue premesse, di conseguenza il testo letterario significa “se stesso”: il fantastico è l’esitazione provata da un essere (che conosce solo le leggi naturali) di fronte ad un avvenimento apparentemente soprannaturale. Colui che percepisce l’avvenimento può scegliere per una delle due soluzioni possibili: o si tratta di un’illusione, ed in tal caso le leggi del mondo rimangono quel che sono, oppure l’avvenimento è realmente accaduto, ed allora questa realtà è governata da leggi a noi ignote… il fantastico – secondo Todorov, che in questo modo opera una rilevante selezione – occupa l’intervallo di questa incertezza; non appena si fa una scelta, si abbandona la sfera del fantastico e si entra in un genere simile (lo strano, il meraviglioso).

Si parte dal mondo così come lo conosciamo, la società che ci circonda; s’introduce un certo numero di cambiamenti di cui si cerca di prevedere le conseguenze. Mediante la proiezione nel futuro (o nel passato), si cerca di spiegare la complessità del presente, sviluppandone aspetti ancora larvati: “arrivai quasi a credere”, ecco la formula! La fede assoluta, come l’incredulità più totale, ce ne condurrebbero fuori…ed ecco anche giustificate le eroine dei film di una volta (soppiantate oggi da vere “Rambo in gonnella”) che incarnavano perché donne (era la mentalità dell’epoca, così come quasi tutti gli alieni erano i Russi!) figure fragili e perfette per incarnare il dubbio: sempre circondate da figure scetticissime ed altre schierate dalla loro, sono sempre accompagnate da una base di schizofrenia imposta, dalla quale sono scagionate solo alla fine (Presenze <Hemmings>, I diabolici, La casa sulla scogliera, Rosemary’s baby, American Gothic, L’esorcista, Chi giace nella culla della zia Ruth, Entity).


Le fiabe possiedono questa peculiarietà: i componenti di una fiaba possono essere trasferiti senza alcun mutamento in un’altra, ad esempio incontriamo la strega i fiabe diverse ed in soggetti estremamente differenti… Bava descrisse i suo “rosso segno della follia” come “La storia del solito pazzo…”, estremizzazione eccessiva, ma dal valore sintetico azzeccato.

Bloch (autore di Psyco), al di là del suo filone Lovercraftiano, usa tecniche di suspance per suggerire presenze soprannaturali, anche se alla fine tutto si rivela frutto di uno stato psicologico morboso… e non è un caso: la follia è stata il marchio di fabbrica che per un certo periodo (diciamo fino al ’70) ha contraddistinto le opere di genere che meritavano di essere classificate come tali; è anche interessante notare che l’alternativa alla donnina fragile ed influenzabile psicologicamente sono stati i bambini, il simbolo di chi non sa distinguere realtà e finzione (Presenze <Kensit>, Shock, Harlequin, I delitti del gatto nero – questo, come in “Chi giace…” presenta l’omicidio per opera di adolescenti che invece di dubitare han creduto troppo alle favole degli adulti -, Un minuto a mezzanotte). Questo procedimento mostra come la nostra cultura escogiti sempre nuove tecniche per per omettere dal proprio sviluppo le latenze non approvate socialmente, compiendo una rimozione ed un ripudio da se stessa, adottando un procedimento di infantilizzazione che, oggi, sfocia con l’introduzione del dubbio filtrata da soggetti tossicodipendenti o alcolizzati (Il pasto nudo, Fuoco cammina con me, Stati di allucinazione, Trauma, Che fine ha fatto baby Jane?, il serpente e l’arcobaleno, Gothic, Allucinazione perversa, Dr Jeckill e Mr. Hide sull’orlo della follia). Là dove uno studioso vede un soggetto nuovo, un altro vede una variante o viceversa… Interessanti i casi (non molti) in cui il tema del punto di vista nel fantastico è affidato alla diversità, alle minoranze o agli uomini (soli, in genere): Carrie, Phenomena, Dove comincia la notte, Magic, Freaks, L’invenzione di Morel, Maniac, Shining.

Ma il pazzo può essere sostituito dal fantasma, dall’alieno, il vampirismo sotituito dal rapimento, la madre dalla sorellastra, la figlia, la governante…l’argomento non è monocellulare, ma scomponibile e ne deriva la necessità di studiare la fiaba non sulla base del soggetto, ma sulla base dei motivi.

Il fantastico implica un’integrazione dello spettatore nel mondo dei personaggi: ecco spiegata la natura sempre poco credibile dei protagonisti, messi sempre in condizione (anche se han ragione) di poter essere screditati o in qualche modo rinchiusi o autoisolati (J. Harker di “Dracula”, l’eroina di “Hellbound”, Il pianeta proibito, I vivi ed i morti, Il bacio della pantera, La casa dalle ombre lunghe, Nosferatu <qui si sovverte tutto: il vampiro protagonista ed autoisolato decide di inserirsi nel mondo reale e crea il panico>, Sentinel, Quella strana ragazza che abita in fondo al viale, Il labirinto, La mosca, La morte avrà i sui occhi)! E questo perché il fascino del macabro, scrisse lovecraft, è piuttosto limitato e richiede da parte del lettore una certa dose di fantasia e una profonda capacità del distacco dalla vita di tutti i giorni… e relativamente pochi sono coloro che sanno spezzare la rassicurante routine quotidiana per rispondere a richiami ignoti.

Nei casi sopraindicati vi sono grandezze costanti e variabili; cambiano nomi ed attributi dei personaggi, ma non mutano le loro azioni e funzioni: questo ci dà la possibilità di considerare la fiaba sulla base delle funzioni dei personaggi.


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