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The Witch: A New-England Folktale

Aggiornamento: 5 mar 2022

Robert Eggers debutta “col botto” con questa co-produzione internazionale fra Stati Uniti e Canada, presentata per la prima volta al Sundance Film Festival nel 2015 (dove vince il premio per la migliore regia); derivato direttamente da “giornali, diari e resoconti giudiziari del XVI secolo”, e più che un horror questo film si potrebbe definire un attento film storico, che mescola suggestioni narrative a quelle pittoriche di forte influenza romantica… Goya su tutti.

La versatilità dell’estro creativo di Goya fa sì che egli sia un’artista difficilmente inseribile entro i ristretti orizzonti di una definita corrente artistica. I quadri di Goya, infatti, risentono congiuntamente delle sue aspirazioni illuministe-razionali e di impulsi irrazionalistici già romantici.

Allo stesso modo può essere descritto Eggers, autore che non sorprende se definibile artista competente e completo: originario del New Hampshire, egli ha iniziato la sua carriera professionale nel teatro sperimentale e classico nel centro di New York. Ha poi lavorato a lungo come scenografo e costumista per il cinema, la televisione, il teatro e la danza.

Eggers aveva già sperimentato il genere “horror letterario” con due cortometraggi Hansel and Gretel (2007) e The Tell-Tale Heart (2008): mette a frutto ciò che ha imparato con questo WITCH, incredibilmente ben accolto da pubblico e critica, che ha incassato oltre 40 milioni di dollari, a fronte di un budget di 3 milioni.

Quello che colpisce in questo riuscito film son le atmosfere, la scelta degli attori… poco noti, tutti in parte e ben diretti (i bambini su tutti!). I volti scelti presentano connotazioni forti e rurali ben si prestano al dipanarsi della vicenda, mentre la fotografia crepuscolare di Jarin Blaschke un DOP (Director Of Photography) è semplicemente PERFETTA sebbene egli abbia alle spalle incredibilmente un solo lungo (Blood Night: The Legend of Mary Hatchet di Frank Sabatella) e una infinità di cortometraggi!

Cenni storici: Nel 1642 in Inghilterra viene ufficialmente riconosciuto il reato di stregoneria, punibile con la pena capitale. Verso la fine dello stesso secolo, Salem venne divisa in due frazioni: Salem villaggio e Salem città, costantemente in lotta fra loro. Questo è il clima in cui ebbe inizio la celeberrima caccia alle streghe, che si nutrì anzitutto dell’odio fra famiglie e delle invidie fra cittadini più e meno abbienti.

Nel 1692 a Salem si diffuse notizia di un primo caso di stregoneria. La figlia del reverendo Parris, Betty Parris e sua cugina Abigail Williams riportano i sintomi di una possessione demoniaca. Le due fanciulle, all’epoca di circa dieci anni, avevano comportamenti aggressivi nei confronti di familiari e ospiti, si esprimevano in strani versi e contorcevano i loro corpi in posizioni disumane.


I medici interpellati per dare una risposta ai fatti non riscontrarono nulla di anomalo. Frattanto, anche altre sei rispettabili ragazze del villaggio di Salem furono vittime di questo strano seme della follia. L’ipotesi formulata dal dottor Griggs per la prima volta fu che il diavolo avesse preso possesso delle giovani. Ma chi aveva evocato il maligno? Secondo il reverendo Parris, William Stoughton e William Phips, a Salem vivevano alcune donne che praticavano la stregoneria e avevano un canale preferenziale con l’inferno. Inizia così una delle (purtroppo tante) brutte pagine della storia della cattiveria dell’uomo.

Dalla “storia” (come testimonianza del passato), alla “trama” del film in cui le dinamiche “emotive” che portano alla tragedia – come vedremo – non son molto differenti: New England, primi del ‘600. William, religioso predicatore, insieme alla moglie ed ai cinque figli, viene allontanato dalla comunità puritana in cui vive per il suo estremismo nell’interpretazione della parola di Dio. Si reca così nei pressi di un bosco – nella speranza di vivere in modo umile e sereno – praticando agricoltura e allevamento per sfamare la propria famiglia. Tuttavia, qualcosa di sinistro è in agguato ad attenderli. Un giorno Samuel – il bambino più piccolo, neonato, affidato alla sorella – scompare improvvisamente e, nonostante le ricerche, non viene più ritrovato.

Questa tragedia innesca in modo progressivo l’odio tra i membri della famiglia, che vengono messi l’uno contro l’altro da bugie, omissioni, superstizioni, reciproche accuse.

The VVITCH (così è siglato sui poster, nel titolo originale) è un film lento, atmosferico, di poetica bellezza. Regala brividi pur non mostrando sangue (se non qualcosina nel finale) o particolari effetti speciali. Menzione d’onore all’ormai iconico caprone Black Phillip e grande plauso ad una regia capace di farsi forza nel non mostrare, nel non voler spiegare a ogni costo (del regista anche lo script) andando controcorrente in un era dominata da film facili realizzati per assecondare lo spettatore pigro.


DA VEDERE.


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