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IN-PERFEZIONE: tra Teatro Contemporaneo e Butoh

Il Butō, butoh o anche Ankoku Butoh è un insieme di tecniche di danza giapponese che si è sviluppato nel secondo dopoguerra. I due coreografi principali del genere sono stati Tatsumi Hijikata e Kazuo Ono, influenzatisi a vicenda. La tradizione nipponica è costituita da spiriti, spettri, mostri in continuo rimando all’oscuro ed al grottesco. Naturalmente non mancano gli umani che spesso si trovano di fronte a delle rotture dell’identità psichica e corporea, dunque anche quelle di genere, in attesa di un divenire altro difficilmente definibile, un eccesso fuori da ogni regolamentazione, una metamorfosi. Da qui il contatto con autori europei che sull’ambiguo, il perturbante e l’osceno hanno fondato non solo la propria opera ma l’intera esistenza: sono coloro che rientrano nel “minore”, il concetto che il filosofo francese Gilles Deleuze utilizzava per riunire vissuti ed opere fuori da ogni catalogazione e da qualunque tentativo di normalizzazione in una Storia o in una Cultura. La gestualità del butoh non può più sopportare i rigidi dettami formali di un’armonia importata ma deve, a partire dai propri archetipi stranianti, inventare nuove direzioni per poter esprimere inedite inquietudini. Denudati o con costumi grotteschi, brandendo talvolta accessori eccentrici (un pollo vivo, un fallo d’oro ecc.) o con maschere che rimandavano alla tradizione teatrale del kabuki, Hijikata ed Ono hanno portato il corpo irrefrenabile e scalpitante anche sullo schermo in contesti “propri” (Rose Colored Dance, Navel and A-Bomb) o in pellicole di altri autori connazionali come Teruo Ishii (Horros of Malformed Men).

Oggi il butoh si è diffuso in tutto il mondo e, non avendo una forma tradizionale predefinita, si è contaminato con i contesti e le culture più lontane. Un esempio vicino nel tempo e nello spazio è la coreografa italiana Silvia Rampelli con la sua performance Habillé d’eau. Per IN-PERFEZIONI il Butoh è ciò di cui si serve il duo per generare sul palco un grande frastuono e un'alchimia, oltre il suo impianto, oltre il suo punto di partenza teatrale, che ha due o tre frasi capitali, come questo divenire, questo terrore, alla fine, del movimento che si esaurisce. Nemmeno ogni miracolo o mutazione, spazio non reale, reincarnazione ci esime di spostare lo sguardo per dire: 'Comincio ad aver paura'. La paura come unica vera intensità che alla fine si libera da questa In-perfezione di corpi.

L’evento, destinato ad un pubblico adulto, si presenta come un’occasione unica per poter apprezzare da vicino il virtuoso duo artistico costituito da Domiziano Cristopharo e Jose Luis Lemos Paez: è previsto, infatti, al termine di ogni spettacolo, un incontro di approfondimento e dibattito su temi cari a questi artisti come la censura, l’insegnamento del teatro, l’interpretazione dei simbolismi scenici.


In questo teatro in cui, parafrasando Carmelo Bene, il testo è secondario, sembra necessario parlare con il corpo (e la voce) di qualcosa che s'intendeva nel presente, del non-detto, attualizzando il messaggio. Le parole non servono perché c’è la danza psicosomatica di due non-esseri che danzano nudi, con i corpi completamente ricoperti di pittura bianca, le membra scosse da tremori sincopati e dolenti e la mimica dei visi che si tende, digrigna i denti, soffre che ogni muscolo di quei corpi si contrae in spasmi ritmici componendo una danza delle tenebre.




L'INTERVISTA A DOMIZIANO CRISTOPHARO

Ciao, Domiziano. Ben trovato. Negli ultimi anni il tuo nome è stato accostato al genere horror, quasi a voler minimizzare. Qui però concentriamoci sulla tua nuova ricerca artistica nel teatro, in particolare il Butoh. Lo studio con Nato Frasca, Memo Dini, Marcello Sambati, Simona Valli and Masaki Iwana, corsi e workshop sul Butoh, Solfeggio, sul Lyrical Vocal Tecniche e Teatro Yoga. Tante le compagnie nate nel corso degli anni fino a Materia Prima, questa assieme a Jose Luis Lemos.

Le tue traiettorie personali, alla ricerca di nuove angolazioni sull’angoscia, con un certo retrogusto da cinema classico, da fiaba nera, vivono nella costante pulsione eros e thanatos. In realtà, quello al teatro, è un ritorno? Qual è la necessità che ti ha portato verso questa performance così ancestrale, potente, intensa e mitologica?

D: Il teatro è un oggettivo ritorno. Ho cominciato a sedici anni cpmoe scenografo e costumista anche se sembra molto presto ma int ealtè ho comunicato l’accademia delle belle atti a sedici anni ed ho avito l’ooportinitòà di lavorare per la compagnia dell’appeso di Frosinone, che ancora esiste, che gestiva la stagione teatrale del Nestor ed avevo quelle menzioni, in parallelo con lo studio. Ho iniziato molto presto e da lì la mia passione per il teatro mi ha dato la possibilità di lavorare come cantante, figurante ed attore quando mi sono affiancato al genere del teatro-danza grazie alla folgorazione di aver visto uno spettacolo di Carolyn Carlson che si chiama Dark ed è da lì che ho capito cosa avrei voluto fare nella vita. Ho fondato una prima compagnia nella fine li anni ’90 che si chiamava Contenuto degli immagini insieme a Plinio grossi con la quale abbiamo fatto vari spettacoli ed ecco un ritorno ad una mia passione ed idea. Il cinema è venuto dopo, come truccatore e costumista lavorando con Romano Scavolini e Krzysztof Zanussi, nel suo “Sole nero” e da lì il cinema mi ha assorbito fino ad arrivare alla regia. Quella che è diventata la situazione del cinema, specialmente quello indipendente, non mi dà più soddisfazione perché manca il rapporto con il pubblico. Scarseggiano i festival, si tende a far finire tutto online, quelli che rimangono non sono più eventi sociali ma sono più delle vetrine. Quindi il discorso delle performance in qualche modo mi riavvicina al pubblico. Non a caso, dopo la performance, noi dedichiamo moltissimo spazio dell’incontro al dialogo con il pubblico.

È un grande frastuono ciò che mi ha lasciato In-Perfezione: un'alchimia che va oltre il suo impianto, oltre il suo punto di partenza teatrale. Cosa unisce il corpo e lo spazio?


D: Quello che unisce il corpo e lo spazio è il movimento. Quest’ultimo è ciò che ci fa occupare lo spazio in varie traiettorie e dimensioni. Attraverso il Butoh addirittura non si uniscono solamente il corpo e lo spazio, ma si uniscono anche le dimensioni, si dialoga anche con la dimensione assente, si comunica anche con quello che non c’è. Quello che nasce come idea e quindi anche il cambiamento del mio corpo che ormai si avvicina ai cinquant’anni, rispetto a quando ne avevo venti, non è neanche più adatto ad un teatro come il Butoh per via dei chili di troppo, dei tatuaggi ecc.. ma è proprio la natura di trasformazione e contaminazione di questa forma e tecnica che m’ha fatto pensare il contrario e dire ‘perché no?’ Ed è da qui che nasce l’idea dell’imperfezione, raccontarla attraverso l’imperfezione.

Vista la tua poliedrica natura artistica, che sembra essere un’esistenza dove qualsiasi dimensione, contesto o espressione artistica, alla lunga, si è rivelata un po’ stretta, quali sono stati i limiti o i confini che ogni volta ti spronano ad una nuova ricerca o studio?

D: Il limite che mi ha spronato ad avvicinarmi al teatro è stato quello di riconfrontarmi con il pubblico e accettarmi con questa nuova età e questa nuova forma fisica, nella ricerca di un espressione che vada molto più “dall’interno all’esterno”. Mentre il cinema è molto più forma, attraverso di essa infatti è possibile andare all’interno delle persone qui invece, con il teatro contemporaneo, quello del Butoh si cerca di andare dall’interno all’interno delle persone, perché si comunica non tanto con immagini quanto per impressioni e sensazioni.

Il controllo del corpo, l’intensità e la consapevolezza di ciò che si vuole raggiungere con esso, il dinamismo, la concentrazione ed il messaggio anticonvenzionale e sincero. Tutto ciò si nota ed è stato come una panacea per te, no?


D: Non so se sia stato una panacea tornare al teatro, certo è che sto tornando a fare quello che volevo, libero di schemi mentali e altro.

Questo tipo di teatro sperimentale e contemporaneo ha un forte richiamo psicologico/visivo. Nel Butoh, i corpi nudi, dipinti d’oro e fango, non si limitano a descrivere uno stato o un'idea, ma generano una metamorfosi. Quali miti sono da sdoganare e quali da combattere attraverso la performance?


D: Diciamo che sto finalmente facendo quello che volevo fare mi ibero d schemi mentali, non faccio la performance per combattere, lanciar messaggi c’e uno intrinseco che è quello secondo cui se l’imperfezione è un male allora tutto lo è perché è tutto imperfetto. La gente persegue falsi miti, che sono sbagliata io cerco di trasmettere spunti di riflessioni no credo di dover sdoganare niente. Non credo nemmeno al nudo come peccato. Nella bibbia siamo stati vestiti in seguito al peccato originale.

Chi ci vede dello scandalo è perché hanno un base interiore misera e povera.

Purtroppo ci sono spazi che non hanno accettato la performance per il nudo, io potrei benissimo mettere un perizoma, ma non voglio io cedere a queste dinamiche.


Lorenzo Fedele




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