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antoniettamasina

PROVA D'ORCHESTRA

Aggiornamento: 22 set 2022

Fellini lo defini' un "filmetto", e fu presentato a Cannes nel '79 fuori concorso.

Ad oggi e' una delle sue opere piu' anomale, politiche, critiche ed affascinanti. Nonchè uno dei miei preferiti in assoluto.

Il riassunto/definizione/spiegazione migliore di cosa sia davvero PROVA D'ORCHESTRA, ce lo da Giorgio Strehler con la sua solita maestria in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 14 marzo 1979: «amaro, direi disperato e inquietante apologo, questo di Fellini. Certo, proiettato sul piccolo schermo, nella placenta evasiva delle camere buie di tanti telespettatori, non solamente italiani, non potrà non lasciare sgomento chi si pone qualche domanda sul mondo in cui viviamo, sulla qualità di questa Prova d'orchestra che è nostra, che è di tutti i giorni...»

Costanzo Costantini invece su Il Messaggero scrive: "Il Fellini sognatore, visionario, narcisista inguaribile, instancabile raccontatore di sé, avverso a ogni forma di impegno, è uscito dal proprio "ego" per dare uno sguardo fuori, alla realtà che ci circonda, mettendoci sotto gli occhi una immagine inquietante dell'Italia odierna."


TRAMA: Il film inizia con il vecchio copista che racconta la storia delle tre tombe dei papi e dei sette vescovi che si trovano all'interno di un oratorio duecentesco, trasformato in auditorium nel Settecento. La stanza vuota, riempita solo dalla voce del copista che dice; “Oggi il pubblico non è più quello di una volta”, mentre sistema i fogli per l'arrivo dell'orchestra. Ed ecco che sbuca la televisione, ancora parzialmente discreta, nel riprendere documentaristicamente la seduta di prove. Il regista inizia a interrogare tutti gli elementi dell'orchestra a uno a uno. I musicisti scherzano, ridono, si fanno beffe a vicenda, ascoltano la partita di calcio in radio nell'attesa di iniziare a suonare. Raccontano dell'assoluta necessità dei propri strumenti all'interno dell'orchestra, come a convincersi che ciascuno di loro sia lì per fare la differenza.

Ma ecco che arriva il direttore d'orchestra: biondo, con un forte accento tedesco, inizia a bacchettare i musicisti invitandoli subito all'ordine. Le prime prove non vanno, le note stonate che provengono dalla sala fanno notare il poco affiatamento presente, mentre il terribile direttore comincia a spazientirsi e a rimpiangere l'ordine del passato. Dopo una lunga pausa (in cui il direttore viene intervistato nel suo camerino privato dalla televisione), l'atmosfera che si respira in sala, colta da un improvviso black out, non è più recuperabile. La rivoluzione è ormai compiuta al ritmo di slogan populisti e sessantottini: “La musica al potere, no al potere della musica!”. Il direttore è ormai sconfitto, deriso, messo alla gogna dai suoi musicisti. I muri sono pieni di scritte, l'anarchia è totale.

Quando la situazione è ormai degenerata e i musicisti si ritrovano gli uni contro gli altri, una enorme palla demolisce uno dei muri della sala investendo anche la povera arpista. In uno scenario apocalittico di polvere e macerie, il direttore d'orchestra richiama allora gli orchestrali ai loro posti che, ammansiti ed ubbidienti, ricominciano a suonare. Ma il direttore, nonostante un inizio che sembrava finalmente positivo, ricomincia a inveire contro gli orchestrali prima in italiano poi in tedesco, con foga sempre maggiore.


Chi sono questi musicisti? Gente semplice, manipolabile, che parla per stereotipi e luoghi comuni quando - come nel caso della pianista - non si fa addirittura scrivere cosa dire.


Apologo etico, secondo la definizione dello stesso Fellini, Prova d'orchestra è una riflessione sulla fragilità e le contraddizioni degli anni Settanta, un film di tocco leggero su tematiche pesanti, finanche cruciali. Di matrice televisiva come i precedenti I clowns e Block-notes di un regista, è il più complesso tra i tre, quello maggiormente aperto all'interpretazione, che invita o obbliga alla ricerca dell'allegoria. La costruzione del tipico caos felliniano rivela l'altra faccia del gioco, risultando solo per quello che è: mancanza di direzione, accecamento, obnubilamento di una ragione. Non è certo un caso che l'unica a morire sia la gentile arpista (Chiara Colosimo) cui è affidata la frase più felliniana: «Ma dove va la musica quando non suoni più?»

Il cast e' straordinario: ogni personaggio oltre che un volto ha un anima... e quest'anima si rispecchia sul volto, lo strumento dell'attore come sempre accuratamente dapprima scelto, e poi scrutato da Fellini.

Spiccano su tutti nel ruolo della "flautista", la cantante Sibyl Amarilli Mostert che diventera' poi famosa col nome di SIBILLA; nel 1976 interpreta il brano Keoma, tema principale del film Keoma diretto da Enzo G. Castellari, composto dai fratelli Guido e Maurizio De Angelis. Nel 1983 partecipa al Festival di Sanremo con la canzone Oppio, scritta e prodotta da Franco Battiato.

Il ruolo del direttore d'orchestra e' affidato all'attore tedesco Balduin Baas mentre al violino troviamo lo spigoloso volto di Aide Aste che l'anno dopo vedremo in PAURA di Lucio Fulci.


E' interessante notare che la voce fuori campo dell'intervistatore e' di Fellini stesso, il che da all'opera un valore metacinematografico (o metatelevisivo) aggiunto.

Nel cast (Non accreditati) anche Rodolfo Maltese (tromba) e Pierluigi Calderoni (percussioni) storici musicisti del BANCO DEL MUTUO SOCCORSO.

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