Secondo Ali', questo e' un detto molto in voga in Marocco.
Ma chi e' Ali'?
Nessuno, in realta'.
E' il nome generico, il "volto" semplificato, che diamo a cio' che comprendiamo a fatica. Perche' in fondo, non sappiamo ascoltare.
Andiamo per gradi.
La paura mangia l'anima (Angst essen Seele auf) è un film del 1974 diretto da Rainer Werner Fassbinder, e presentato in concorso al Festival di Cannes nello stesso anno.
Fassbinder coi suoi oltre 40 films, è stato il regista, sceneggiatore, produttore cinematografico, attore, montatore, drammaturgo, regista teatrale e scrittore, fra i maggiori esponenti del Nuovo cinema tedesco degli anni settanta-ottanta. Mori' di overdose a soli 37 anni, lasciandoci un patrimonio pluripremiato (fra cinema, documentari e TV).
Nel 1972 la sua attivita' produttiva si fa imponente: a gennaio gira Le lacrime amare di Petra von Kant (presentato a giugno al Festival di Berlino), a marzo Selvaggina di passo, tra aprile e agosto Otto ore non sono un giorno, a settembre La libertà di Brema, tra settembre e ottobre Effi Briest. Poi ancora nel 1973, tra gennaio e marzo gira Il mondo sul filo, a maggio Nora Helmer, tra luglio e settembre Martha, a settembre La paura mangia l'anima.
TRAMA: Di ritorno dal lavoro, Emmi, un'anziana donna delle pulizie, entra in un bar per ripararsi dalla pioggia. Tra gli avventori del locale c'è Alì, un giovane immigrato marocchino, che incitato dagli amici invita per gioco Emmi a ballare. I due fanno conoscenza e Alì insiste per accompagnare Emmi a casa; qui è Emmi che insiste prima per far salire Alì a casa propria e poi per farlo rimanere lì anche la notte. Emmi e Alì continuano a frequentarsi e decidono di sposarsi.
A seguito di questo matrimonio così inusuale nasce, tra i conoscenti di Emmi, un'ostilità sempre più grande... e la situazione diventa così pesante che i due decidono di partire per qualche tempo per una vacanza nella speranza che al loro ritorno tutto sia cambiato.
Ed apparentemente e' cosi, ma anche loro due non sono piu' gli stessi di prima.
Il film, e' uno pseudo-remake di Secondo amore, nonche' omaggio sfacciato ed esplicito fatto dal grande Rainer al suo Autore feticcio Douglas Sirk.
Il ruolo di Emmi e' affidato all'attrice Brigitte Mira, che fu lanciata a livello internazionale proprio da questo film; prese parte ad alcuni cult (LA TENEREZZA DEL LUPO di Lommel, o L'ENIGMA DI KASPAR HAUSER di Herzog) ma comunque lavoro' con Fassbinder quasi in ogni successivo film.
Sebbene fosse nata ad Amburgo, Mira crebbe a Berlino e attraverso il suo lavoro riuscì ad incarnare il senso dell'umorismo tipico dei berlinesi. Di padre russo di origine ebraica e di madre tedesca, durante il Terzo Reich partecipò alla campagna di propaganda nazista "Liese und Miese", dove interpretava il ruolo di Miese (in tedesco "cattivo"), ossia il modello da evitare, secondo l'ideologia nazista, dedito al mercato nero e all'ascolto di stazioni radio nemiche. Ma la sua innata simpatia riuscì a trasformare in simpatico un personaggio "negativo" per cui il Ministero della propaganda ben presto fu costretto a cancellare la serie in quanto controproducente. Nel dopoguerra la Mira è stata aspramente criticata per aver preso parte a quella campagna nazista.
Straordinaria anche la prova attoriale di El Hedi ben Salem nel ruolo di Alì. O meglio El Hedi ben Salem m'Barek Mohammed Mustafa ...che poi e' anche il suo nome reale. Il regista conobbe Ali' in una sauna Gay, dove questi si prostituiva per sbarcare il lunario dopo essere giunto in Europa. Fra i due nacque una relazione tumultuosa che termino' con la morte (per suicidio) di Salem e che fu narrata nel 2012, in un documentario intitolato Il mio nome non è Ali, presentato in anteprima al Festival del cinema mondiale di Montreal. Il film è stato diretto dalla regista tedesca Viola Shafik. A Salem il regista dedico' QUERELLE DE BREST.
Come si puo' ben notare, son molti i temi che dalla vita reale sconfinano nella dolorosa messa in scena di questa pellicola.
Fin dagli inizi in teatro, Fassbinder ha dimostrato un’ardente volontà di riflettere sulle contraddizioni storiche e morali di una Germania, quella degli anni Settanta, borghese e benpensante, mai del tutto riappacificata col demone del nazismo e incapace di prendere responsabilmente coscienza delle sue fratture identitarie. La paura mangia l’anima in questo senso, e' un saggio di fulminante lucidità ed efficacia su quanto il razzismo sia figlio, oltre che di pregiudizi e cattiveria, anche e soprattutto di quelle strutture e di quei meccanismi di oppressione sociale che spesso regolano lo stesso vivere comunitario.
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