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I 10 horror esteticamente più belli

Aggiornamento: 6 mar 2022

Ecco i 10 film visivamente più belli nella storia dell’horror… secondo Antonietta Masina.

La storia del cinema horror è pieno di film magnifici, e sono consapevole che di certo non basterebbe nemmeno una lista di 100 film per elencarli tutti… figuriamoci 10! E’ solo il mio punto di vista, quindi cari lettori… vi invito a collaborare alla crescita di questo elenco con i vostri suggerimenti!

Ciò che mi ha portato a fare queste selezioni, è soprattutto la componente quasi “pittorica” riscontrabile nella cura delle scenografie, e costumi in rapporto con la fotografia. Come mio “solito” ho evitato titoli “facili” e scontati come possono essere SUSPIRIA, DRACULA (di Coppola) e SHINING per portare certi titoli magari meno noti ai più, in superficie… e magari stimolare qualcuno nella riscoperta!

Se il “male” e “l’orrore” son in genere associati al brutto, ci sono innumerevoli esempi dalla poesia alla pitttura che svelano la bellezza celata nell’abisso del male. E laddove il cinema della paura è il cinema pensato per spaventare, bisogna anche considerare che è (ma, soprattutto, è stato) quel territorio di nessuno in cui era possibile sperimentare!

Andiamo a vedere allora cosa vi ho preparato… in ordine sparso.

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THE WITCH

Co-produzione fra Stati Uniti e Canada presentata per la prima volta al Sundance Film Festival 2015, divenendo una wide release nel 2016, per conto della A24. Nella parte finale si legge che il film è derivato direttamente da «giornali, diari e resoconti giudiziari del tempo (XVI secolo)». Ha ricevuto il plauso della critica e ha incassato oltre 40 milioni di dollari, a fronte di un budget di 3 milioni.

TRAMA: Siano nel New England, 1630. Il rigido e bigotto William, che si difende fieramente sostenendo di aver solo praticato il verbo di Cristo, viene giudicato da una corte e allontanato dalla co-munità assieme a sua moglie Katherine e ai loro cinque figli. I reietti si sistemano in una piccola fattoria solitaria ai confini di un fitto bosco. La figlia maggiore Thomasin ha dei dubbi, si sente peccatrice. Porta Sam, il fratellino neonato, a giocare vicino al bosco, ma il bambino le viene misteriosamente sottratto da una strega.

La fotografia è di Jarin Blaschke, e ci fa rivivere le atmosfere dei dipinti di Goya, specialmente nel magnifico finale. _____________________________________________________________ A FIELD IN ENGLAND


Uscito da noi col titolo I disertori, A Field in England è un film del 2013 diretto da Ben Wheatley, ambientato durante la guerra civile inglese. Il regista è anche in ABC OF DEATH col segmento U is for Unearthed , mentre il suo ultimo film è FREE FIRE un film d’azione ambientato a Boston alla fine degli anni 70.

TRAMA: Nel 1648, nelle campagne inglesi tormentate dalla guerra, un gruppo di disertori fugge dal campo in cui infuria la battaglia. Dopo essere stati catturati, vengono costretti ad aiutare uno dei loro carcerieri nella ricerca del tesoro che questi crede sepolto nel campo. Da quel momento, il gruppo gradualmente scivola in un caos fatto di aspre lotte e di paranoia. Quando poi diventa chiaro che il tesoro potrebbe essere qualcosa di molto diverso dall’oro che credevano, si scoprono vittime di energie malvagie intrappolate nel campo.

Come scrivono su QUINLAN.IT “il pubblico di A Field in England è condotto per mano da Wheatley sull’orlo di un burrone, e poi oltre. Al di là del godimento di fronte all’estasi visionaria del film e alle battute che si rimpallano i protagonisti, A Field in England richiede un atto di fiducia, l’accettazione di una realtà altra che non segue regole prestabilite e in cui tutto non è solo possibile, ma necessario e ineluttabile“. Siete pronti per questo tuffo psichedelico?

L’opera ha ricevuto diverse nomination in vari festival importanti, vincendone solo uno (Karlovy Vary International Film Festival, Special Prize of the Jury), mentre la fotografia è di Laurie Rose (Stan and Ollie, High-Rise: La rivolta) _____________________________________________________________ IL VOLTO

Il volto (Ansiktet) è un film del regista svedese Ingmar Bergman realizzato nel 1958 che ottenne nel 1959 il premio speciale della giuria alla Mostra di Venezia e il Premio Pasinetti, come opera migliore della rassegna, dai giornalisti. Bergman figura come uno dei più influenti registi nella storia del cinema… ma la vita del cineasta svedese non si dispiega esclusivamente intorno alla pellicola, al contrario abbraccia anche un filone artistico di scrittura e teatro. Il film imbastisce lo scontro, in realtà l’osmosi, tra magia e razionalità, spettacolo e burocrazia, tra il corpo (pesante e limitato, si evince dalle prime battute) e lo spirito (alto, alato, ma sostanzialmente inesistente, mistificatorio). Opposti che si attraggono. Espressione di un’unità spezzata.

TRAMA: Nella prima metà del secolo scorso, un illusionista, pseudo mago, viene arrestato, con la moglie, alle porte di una piccola città della Svezia, ed è costretto ad esibirsi dinnanzi alle autorità locali. Un medico incredulo ed un poliziotto prepotente assillano con le loro domande e i loro commenti insultanti i due, che alla fine sono stanchi ed irritati. Per potersi vendicare delle derisioni, di cui è stato oggetto, lo pseudo-mago si finge morto.

La fotografia è del fedelissimo Gunnar Fischer che ha lavorato a quasi tutti i film di Bergman. _____________________________________________________________ VIJ

Vij è un film sovietico del 1967, diretto da Georgij Kropačëv e Konstantin Eršov. È il primo film horror del cinema sovietico ed è basato sul racconto omonimo di Nikolaj Vasil’evič Gogol’.

TRAMA: Uno studente del seminario viene incaricato di vegliare, nella chiesa di un piccolo villaggio e per tre notti consecutive, la salma di una strega, morta a causa di una malattia. Il ragazzo accetta l’incarico, che gli verrà lautamente pagato al termine, ma non sa del pericolo a cui va incontro: durante le tre notti, la strega torna in vita tentando di ucciderlo con tutti suoi poteri. L’unica arma a disposizione del filosofo è la preghiera. Pittoresco, immaginifico e non privo di una sua originale impronta figurativa, questa riduzione filologicamente fedele del racconto di Gogol ne riconduce la morale politica alle beffarde coincidenze della sorte ed alle soverchianti logiche del potere che costringono un giovane renitente e indifeso a soggiacere ai perversi meccanismi di una volontà di dominio e di prevaricazione.

Il film ha avuto un mirabolante – ed inefficace – remake nel 2014, VIY… che punta tutto sul 3D ed il digitale, riuscendo a regalare una phantasmagoria per gli occhi, che però non colpisce il cuore per inventiva e artisticità.

La fotografia è di Viktor Piščalnikov, Fëdor Provorov _____________________________________________________________ LA MASCHERA DELLA MORTE ROSSA

La maschera della morte rossa (The Masque of the Red Death) è un film horror del 1964, diretto da Roger Corman, tratto dai racconti La maschera della morte rossa e Hop-Frog di Edgar Allan Poe. Al film partecipano due importanti attori del genere horror, Vincent Price e Hazel Court. TRAMA: Siamo nel Medioevo: una vecchietta mentre raccoglie della legna viene fermata da una figura vestita di rosso, che le dona una rosa rossa e le dice che presto giungerà la liberazione. La vecchia ritorna al suo villaggio e racconta il fatto agli altri abitanti, che prendono la figura come un santo e la liberazione come la fine della tirannia del principe Prospero, un crudele signore che domina il luogo. Come tutti i “Poe” di Corman, anche questo è liberamente ispirato al racconto, a cui resta quasi fedele solo nella ricostruzione delle stanze del castello.

Si dice che Corman avrebbe voluto girare il film subito dopo I vivi e i morti (1960), ma accantonò il progetto per alcuni anni perché pensava che alcuni elementi della trama lo facessero assomigliare troppo a Il settimo sigillo di Ingmar Bergman.

Alla fotografia troviamo Nicolas Roeg, che ci delizierà in futuro con opere come A VENEZIA UN DICEMBRE ROSSO SHOCKING e CHI HA PAURA DELLE STREGHE. _____________________________________________________________ 6 DONNE PER L’ASSASSINO

Diretto da Mario Bava nel 1964, è considerato un film estremamente importante per il cinema italiano di genere, perché  codifica definitivamente le regole del giallo all’italiana. Sei donne per l’assassino è stato anche l’ispiratore inconfessato dei primi film di Dario Argento. Il killer vestito di nero, senza volto e con i guanti sarà uno dei topoi del genere giallo italiano. Il film ottenne buone critiche alla sua uscita nelle sale cinematografiche. I commenti si soffermarono sull’uso della fotografia e sul sadismo dei delitti, ritenuto però eccessivo. Alla fotografia un fedele di Bava, Ubaldo Terzano, che è stato operatore (guardacaso!) anche per Argento. _____________________________________________________________ IN COMPAGNIA DEI LUPI Fra i film del regista di INTERVISTA COL VAMPIRO e LA MOGLIE DEL SOLDATO troviamo il poco diffuso IN COMPAGNIA DEI LUPI; stiamo parlando di quel genio che è Neil Jordan,che meriterebbe di stare in questa lista anche per il magnifico BIZANTYUM. TRAMA: In sintesi, la fiaba di CAPPUCCETTO ROSSO, come mai è stata raccontata, ricca di pulsioni sessuali e sottotesti. Rosaleen è una ragazzina dalla fervida fantasia, figlia di una famiglia ricca, e che vive in una grande casa al limitare di una brughiera. Un giorno la ragazza si addormenta nella sua stanza e comincia a sognare.

Nel sogno si ritrova in epoca medioevale, e vive con i genitori e la sorella in un paesello al limitare di un bosco fiabesco infestato dai lupi, che attaccano spesso il paese uccidendo bestiame e, talvolta, anche qualcuno degli abitanti. Una notte la sorella, avventuratasi nel bosco, viene assalita e uccisa da un branco di lupi. Dopo i funerali della ragazza, Rosaleen decide di trascorrere la notte a casa della nonna, un’anziana signora eccentrica.

Il film è ispirato alle storie sui lupi mannari presenti nella raccolta di racconti La camera di sangue di Angela Carter (La compagnia di lupi, Lupo-Alice e Il lupo mannaro). La stessa scrittrice collaborò con il regista alla stesura della sceneggiatura; il film  e fu girato interamente in Inghilterra negli Shepperton Studios. Vincitore di festival quali SITGES, FANTASPORTO, AVORIAZ. Agli effetti speciali (indimenticabili) Christopher Tucker (Il quarto uomo, Elephant man, Il senso della vita) e Rodger Shaw (Dark Crystal, Indiana Jones e il tempio maledetto) e alla fotografia Bryan Loftus (indimenticabile la fotografia del gioielli drammatico Il giardino indiano, l’horror Antisocial e vari videoclip di Madonna) _____________________________________________________________ LE ORME Angosciante, sperimentale, diverso. Footprints on the Moon è un film del 1974, scritto da Mario Fenelli e Luigi Bazzoni, coerentemente sviluppato tra psicodramma e fantascienza, e diretto da Luigi Bazzoni regista purtroppo poco attivo, scomparso nel 2012.

LA TRAMA: Alice (Florinda Bolkan) trascura il lavoro e gli amici ossessionata da un improvviso sdoppiamento di personalità che le fa credere di vivere contemporaneamente due vite diverse e di essere minacciata da un misterioso assassino. La donna tenta di sfuggire all’angoscia abbandonandosi alla droga e viaggiando, ma, durante una vacanza in Turchia, crede di riuscire a far luce in se stessa mettendo assieme labili indizi e seguendo strane premonizioni. Causa del suo malessere sarebbe il trauma per avere assistito ad un filmato nel quale un cinico scienziato (Klaus Kinski) sottoponeva a dolorosi esperimenti un astronauta atterrato sulla Luna. Ma l’equilibrio psichico è ormai compromesso e per Alice, macchiatasi dell’omicidio di un uomo che forse intendeva aiutarla, si aprono inesorabilmente le porte di una clinica per malati mentali. La bellezza glaciale della Bolkan incarnano alla perfezione il personaggio bipolare di Alice. Tutto in questo film è un estraniante BIANCO, tutto è LUCE… quasi in una anticipazione/ispirazione per il FILM BIANCO di Kieslowki.

Alla fotografia c’è un nome che non ha bisogno di presentazioni: Vittorio Storaro. Suggestiva l’ambientazione geometrico/metafisica romana (quartiere EUR) contrapposta alla bellezza manieristica e “morbida” di Garma, in Turchia. _____________________________________________________________ IL QUARTO UOMO

Indubbiamente uno dei miei film preferiti di sempre, questo misconosciuto (ai giorni nostri, aimè!) film diretto dal regista olandese Paul Verhoeven (ROBOCOP) è uno di quei film che non dovrebbero mancare nella collezione di ogni appassionato. Questo spietato e fatalista thriller del 1983 è tratto dal romanzo omonimo di Gerard Reve, ed’ è interpretato magistralmente da Jeroen Krabbé (IL FUGGITIVO, OCEAN’S TWELVE) e Renée Soutendijk. TRAMA: Gerard è un giovane scrittore di successo, omosessuale, con gravi turbe psichiche di tipo paranoide. Invitato a tenere una conferenza in una città olandese, conosce Christine, misteriosa ed affascinanto donna, della quale accetta la corte serrata. Invitato a trascorrere con lei tutto il fine settimana, Gerard accetta ma non tanto per le insistenze della donna, quanto perché vuole conoscere un altro amante della donna, da lui casualmente incontrato il giorno prima alla stazione, e dal cui fascino era rimasto turbato.

La fotografia è di Jan de Bont, che oltre aver firmato la fotografia di cult come CUJO o BASIC INSTINCT ha anche diretto film come SPEED e TOMB RAIDER: CRADLE OF LIFE. _____________________________________________________________ IL NIDO DEL RAGNO Curioso,originalissimo e sottovalutato film del 1988 diretto da Gianfranco Giagni, regista che dopo aver diretto la serie erotoca fantasy per la TV VALENTINA con Demetra Hampton, si è dedicato alla regia di documentari.

TRAMA: A. Whitmore è un professore di religioni orientali incaricato di andare a Budapest per indagare sul perché il suo collega, il professor Roth, non fa più avere sue notizie. Withmore riesce a raggiungerlo e a parlargli poco prima che il professore venga ritrovato impiccato nella sua camera. Da quel momento Withmore si ritrova invischiato in una serie di affari loschi con al centro una misteriosa setta segreta. Echi “lovecraftiani” in questo horror-fantastico di difficile reperibilità home video, in cui spiccano i notevoli effetti di Sergio Stivaletti (qui in uno stato di grazia).

La fotografia è del maestro Nino Celeste, che ha lavorato nella sua carriera – tra gli altri – nei film di Pier Paolo Pasolini, Damiano Damiani, Carlo Lizzani, Lucio Fulci, Mario Bava, Roberto Faenza, Liliana Cavani, Umberto Lenzi. Celeste gioca con luci colorate ed atmosfere rarefatte che costruiscono una Budapest magica.


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